Isabella d’Este Gonzaga
” Nec spe nec metu “
(Né con speranza, né con timore)
Alla fine del XV secolo, le più importanti città-stato italiane erano costantemente in conflitto tra loro e le “nazioni” di Francia e Spagna erano pronte ad approfittare della situazione. Nel mezzo di queste guerre, costantemente stretto fra le grandi potenze che si davano battaglia sul suolo italiano stava il piccolo stato di Mantova, governato dal giovane duca Gianfrancesco Gonzaga, in posizione strategica nell’Italia centrale: sembrava solo questione di tempo perché uno degli Stati più potenti lo incorporasse, e il ducato cessasse di esistere come stato indipendente. Nel 1490 Gianfrancesco sposa Isabella D’Este, figlia di Eleonora d’Aragona e di Ercole I d’Este, coltissimo duca di Ferrara, nonché sorella maggiore di Beatrice d’Este, altrettanto celebre duchessa di Milano, moglie di Ludovico Sforza.
Isabella si innamora immediatamente della corte mantovana, come scriverà al padre solo a un mese dalle nozze: «Io ho già preso tanto amore a questa città, che non posso fare che non piglia cura de li honori et utilitate de li citadini».
Cresciuta nella corte coltissima di Ferrara, ancora bambina, danza con una vivacità eccezionale, e si dedica anche all’arte del ricamo. I suoi studi comprendono la letteratura classica e contemporanea, l’eloquenza, la teologia e la filosofia, l’arte di comporre versi e la musica. Isabella sa, con grazia e perizia, accompagnare col liuto madrigali e ballate. Il livello dei suoi insegnanti indica quello della sua formazione: Battista Guarino, Antonio Tebaldeo, o i maestri Girolamo Sextula e Johannes Martin per la musica. La giovane marchesa, al suo arrivo a Mantova, trova una corte già sensibile all’umanesimo più moderno. Compensa la lontananza del marito – capitano d’armi – con la compagnia e l’amicizia della cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino. Con lei conosce e frequenta le chiese e palazzi della città e le ville del contado: Goito, Cavriana, Marmirolo e Porto Mantovano e apprezza la villa di Tuscolano sul Garda, uno dei luoghi più amati. A Mantova i suoi appartamenti sono di fianco alla Camera Picta di Andrea Mantegna, Leon Battista Alberti è di casa. Questo clima moderno e fervido sollecita la sua intelligenza e la sua cultura. Isabella coltiva i propri interessi in ambito artistico e letterario con un impegno che non ha nulla da invidiare ai grandi mecenati fiorentini e che la trasforma nell’arco di pochi decenni nella “primadonna del rinascimento”. Si dedica alla propria vita come ad una raffinata costruzione intellettuale, si circonda dei maggiori artisti del suo tempo, dialoga con essi anche su un piano estetico e teorico, quasi in continuità con il modello cortese, ma con una energia del tutto nuova. Unica donna nel Rinascimento concepisce per sé uno studiolo nella Torretta di San Nicolò del castello di San Giorgio (poi trasferito in Corte Vecchia) per i libri e gli oggetti d’arte che colleziona o commissiona “maniacalmente”, all’insegna di un’utopia classicheggiante, come dimostra la sua relazione di committente con l’artista Jacopo Bonacolsi l’Antico. Sul soffitto dello studiolo campeggia il suo motto, tratto da Cicerone; per arredarlo commissiona dipinti ai maggiori artisti del suo tempo: Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Pietro Perugino, Lorenzo Costa, Correggio, ai quali fornisce precise indicazioni di argomento anche consultandosi con i letterati che la circondano. I suoi temi sono il trionfo della virtù sui vizi, l’armonia, il parnaso, complesse figurazioni filosofiche che soddisfano anche l’esigenza di autorappresentarsi come paladina di quelle stesse virtù antiche diventate moderne, forse anche in un confronto ideale con altre donne della scena rinascimentale, come la cognata Lucrezia Borgia, e le molte donne con cui corrisponde come Cecilia Gallerani o Vittoria Colonna. L’immagine di sé sarà un tema sensibile per Isabella: si fa fare un ritratto da Tiziano che ne ricalca uno giovanile, insiste per averne uno di Leonardo, ma otterrà da lui solo un disegno.
Il progetto di decorazione dello studiolo ha un respiro decisamente sovraregionale, come ha scritto Giovanni Romano: «lo studiolo mi sembra il primo caso di un discorso figurativo a raggio nazionale, in una Italia ancora frammentata politicamente, e soddisfatta di esserlo».
Per l’importanza di queste opere – poi disperse nelle collezioni europee – questo spazio rappresenta uno dei luoghi più emblematici del rinascimento italiano, dove si chiarisce molto bene quanto l‘utopia del ritorno all’antico fosse una via etica ed esistenziale. Le dimensioni ridotte del piccolo studiolo confermano la sua dimensione intima, strumentale alla riflessione e alla meditazione filosofica e lo studiolo è vicino a un altrettanto piccolo cortile-giardino, con una piccola fontana… Sembra di vedere una scena del: Sogno di Poliphilo, una favola illustrata, una raffinatissima raccolta di visioni maturata a Venezia in forma di libro… E Venezia non è affatto lontana da Mantova in quegli anni e l’editore Aldo Manuzio è ben noto a Isabella. La tenacia con cui Isabella insegue la sua utopia estetica e di collezionista è stata descritta spesso come cocciutaggine. È un tratto di chiara ambizione, certo, ma sarebbe un errore considerarla il capriccio o il passatempo di una nobildonna. Il suo impegno politico e diplomatico infatti è immenso, come le difficoltà che incontra: per lei il prestigio culturale è una parte sostanziale di quello politico ed entrambi sono da lei scelti come un destino e una missione etica e politica.
La presenza in Italia dei francesi, la Repubblica di Venezia con un esercito sempre in allerta, la possibilità di un’intesa tra il Papa ed il re di Francia, l’ascesa, infine, di Cesare Borgia, detto il Valentino, che non conosceva limiti alle proprie ambizioni, creavano situazioni allarmanti per Mantova che non aveva, da sola, una forza militare idonea per contrastare eventuali tentativi di spartizione del territorio.
Isabella seguì la politica del padre Ercole. Consapevole della sua scarsa forza militare e della piccolezza del territorio su cui governava, scelse una politica di neutralità che consentiva l’indipendenza senza asservirsi a nessuno, portata avanti con un’azione di mediazione e di arbitrato nelle controversie tra Stati.
Nel 1509 venne catturato Gianfrancesco dai veneziani. Essi lo tennero come ostaggio per diversi mesi, e venne liberato dopo quasi un anno di prigionia, grazie anche all’intervento diplomatico della moglie Isabella e di papa Giulio II, Mantova si venne a trovare in una grave situazione di pericolo per la sua indipendenza, per cui Isabella con estrema freddezza, quasi incurante della sorte di Francesco, impose ai suoi soldati di tener chiuse le porte delle fortezze; ma non era solo Venezia a preoccupare la marchesa, ella, infatti, doveva tener conto anche delle truppe delle potenze straniere che, con qualche attacco a sorpresa, potevano occupare lo Stato.
Il re di Francia Luigi XII tentò di installare nel marchesato un presidio militare, dichiarandosi disponibile a inviare a Isabella cento soldati per aiutarla a mantenere l’ordine nei suoi territori e anche il duca Massimiliano Sforza, con le stesse motivazioni, cercò di introdursi nel mantovano, ma la marchesa riuscì con diplomazia a respingere tali tentativi sostenendo di poter fare affidamento sulla lealtà e obbedienza dei suoi sudditi; cercò di non alienarsi le simpatie dei reali premurandosi di inviare loro doni.
Intanto Venezia instaurava amichevoli rapporti con il re di Francia Luigi XII che costituivano il presupposto di un’alleanza ai danni del ducato di Milano, con evidenti e assai probabili pericoli per l’indipendenza e le fortune del marchesato di Mantova; Isabella, apertamente ostile, anche per tradizione familiare a Venezia, accolse a Mantova con grandi onori il duca di Milano ed il suo numeroso seguito organizzando per lui feste, tornei e rappresentazioni teatrali. Niente di più imprudente per evitare i biasimi ed i sospetti del re di Francia e dei veneziani.
Isabella infatti era di fronte ad un dilemma: se fosse stata fedele a Ludovico il Moro, il francese avrebbe mosso contro di lei. Ma se, invece, si fosse alleata con la Francia, si sarebbe fatta dei nemici in altre parti d’Italia, compromettendo le sorti di Mantova, una volta che Luigi si fosse eventualmente ritirato.
L’occupazione di Milano da parte dei francesi sconvolse Isabella, consapevole di essersi troppo apertamente compromessa per le sue simpatie verso lo Sforza e dei pericoli che, pertanto, aveva fatto correre a Mantova; cercò quindi in tutti i modi di dissipare ogni diffidenza che Luigi XII aveva nei suoi confronti e di riconciliarsi con lui: ella assicurò l’ambasciatore francese che ormai era diventata una “bona francese” precisandogli che la sua simpatia per Ludovico il Moro era derivata, oltre che dalla parentela con lui, anche dalle gentilezze e dagli onori che egli, a Milano, le aveva riservato; inoltre, tramite suoi inviati, fece recapitare al re ricchi doni, mentre Gianfrancesco, assieme ad altri principi, andò incontro al sovrano a Pavia per rendergli omaggio.
Nel 1500 Luigi invitò Isabella a una grande festa a Milano per celebrare la sua vittoria. Per l’occasione Leonardo da Vinci costruì un enorme leone meccanico: quando il leone apriva la bocca, ne uscivano gigli freschi, il simbolo della regalità francese.
Si presentò presto un pericolo allarmante. Dopo la conquista di Imola e Forlì altri principi cominciarono a temere Cesare Borgia, figlio del Papa; anche gli Estensi e i Gonzaga si preoccuparono di procurarsi la sua amicizia. La marchesa teneva atteggiamenti prudenti e tutta la sua condotta nei rapporti con Cesare era condizionata dalla necessità di dissimulare la diffidenza che nutriva nei suoi confronti, come dimostra l’amichevole rapporto epistolare che Isabella tenne con lui.
Dal rapporto con il Borgia cercava di ottenere favori e dispense dal papa Alessandro VI o di avere in dono per arricchire la sua collezione reperti antichi e opere d’arte. In qualche modo tutto funzionò, dato che Cesare risparmiò Mantova.
Nel 1503 il padre di Cesare morì e pochi giorni più tardi il nuovo papa Giulio II scese in guerra per cacciare le truppe francesi dall’Italia. Alfonso d’Este, governatore di Ferrara e fratello di Isabella si schierò a fianco dei francesi.
Una volta ancora Isabella si trovò nel mezzo: il Papa da una parte, i francesi e suo fratello dall’altra. Da una parte convinse il marito Gonzaga a lottare a favore del Papa, dall’altra permise alle truppe francesi di passare per Mantova per andare in aiuto a Ferrara, ma lamentando pubblicamente l’invasione francese.
Nel 1513, dopo un lungo assedio, Giulio sconfisse Ferrara e le truppe francesi si ritirarono. Il Papa morì pochi mesi dopo.
Grandi avvicendamenti si erano succeduti durante il regno di Isabella che vide anche il drammatico sacco di Roma dell’imperatore di Asburgo, Carlo V. In mezzo a tutto ciò, la piccola Mantova non solo sopravvisse, ma prosperò da marchesato diventò ducato e la sua corte era l’invidia d’italia, la sua ricchezza e la sua sovranità rimasero intatte per un secolo dopo la morte d’Isabella, avvenuta nel 1539. Ormai l’attività politica di Isabella poteva considerarsi conclusa, i Gonzaga avevano finalmente raggiunto un alto grado di prestigio e di potere, tra le varie corti d’Italia.
Oltre 30.000 lettere conservate presso l’archivio di Stato di Mantova (Archivio Gonzaga) restituiscono l’incredibile impegno per la cultura di Isabella e i suoi rapporti diretti non solo con artisti come Tiziano o Raffaello, ma anche con Ariosto, Bembo, Baldassarre Castiglione, Teofilo Folengo, Battista Fiera, Pietro Pomponazzi e Paride Ceresara, Giovanni Pontano. Isabella fu sempre in sintonia con le novità del suo tempo, che fossero le pratiche magiche, come il Libro della ventura di Girolamo Ziliolo, o le scoperte scientifiche e geografiche come quella di Antonio Pigafetta che, reduce della circumnavigazione del globo, fu ricevuto a Mantova alla fine del 1522.
Isabella e Gianfrancesco ebbero 7 figli. Margherita e Livia moriranno in tenera età, Eleonora sposerà Francesco Maria I della Rovere Duca di Urbino, Ippolita e Livia diventeranno monache, Ercole cardinale, Ferrante duca di Guastalla, vicerè della Sicilia, viceré di Milano.
Isabella era entusiasta del matrimonio del figlio Federico con Margherita non solo perché aveva portato in dote il Monferrato, ma, anche e soprattutto perché, con la sua grazia, aveva indotto Federico ad una maggior cura dello Stato; e questo la rassicurava. Nessuno, ormai, aveva più bisogno di lei e la marchesa, con discrezione, si ritirò nei suoi appartamenti di Corte Vecchia.
A Mantova, ormai relegata al ruolo di anziana Signora, lontana per sempre dagli intrighi politici e costretta a vivere tra le mura dei suoi appartamenti, non perse, comunque il gusto per il potere e il governo. Nella direzione della sua tenuta agricola di Solarolo, in Romagna, istituì un vero e proprio governo, dove i suoi segretari erano ministri e i contadini sudditi: ne aveva fatto un piccolo Stato, con le varie gerarchie e con autorità amministrative e giudiziarie; uno Stato in miniatura, in cui, sino all’ultimo, cercò di soddisfare il suo innato piacere nell’esercizio del potere.
Morì il 13 febbraio 1539, all’età di 65 anni, un’età straordinaria per quei tempi, seguita, sedici mesi dopo, dalla morte del figlio Federico che aveva solo quaranta anni, ma come il padre, aveva contratto il “mal franzese”.